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Coronavirus: che cosa abbiamo imparato?

Sembra che l’epidemia stia rientrando. Forse, contribuisce anche il caldo che destabilizza Sars-Cov-2, come già era accaduto per altri coronavirus, per esempio quello della Sars (1). Speriamo che questo virus segua un ciclo stagionale, poiché – attenzione – il problema al momento non è ancora alle nostre spalle.

A questo punto possiamo comunque provare a tirare alcune somme su questa infezione problematica, dimostratasi tutt’altro che una banale influenza. Cosa abbiamo imparato fino a qui? Sarebbe importante ottenere risposte attendibili per comprendere quel che è successo, che potrebbe succedere di nuovo e che non dovrebbe più succedere.

Possiamo provare ad articolare una risposta, considerando questi punti:

  • L’approccio dei governi
  • L’origine dei focolai
  • Le cause della pandemia
  • Problemi futuri
  • Conoscere i prossimi virus

L’approccio dei governi

Covid-19 ha messo in luce una dicotomia critica: quella tra la salute e la produttività. La disoccupazione può fare morti come l’infezione trasmessa da agenti patogeni. Ma quanto bisogna sacrificare la salute in favore dell’economia o viceversa?

Non ci sono risposte tecniche ed etiche chiare; molto dipende dalla cultura imperante e, in questo frangente precipuo, da quanto le persone anziane - le più minacciate e le meno produttive - siano ancora considerate importanti per il tessuto sociale (2).

C’è stato in questa ottica in Svizzera un divario tra i cantoni francofoni e italofoni da un lato e quelli svizzero-tedeschi dall’altro (3). Si profilano discrepanze decisamente più pronunciate, e direi prima di oggi inattese per il grande pubblico, tra i vari paesi europei, tipicamente tra le nazioni mediterranee e quelle del Nordeuropa (4).

Si tratta di una circostanza culturale emersa in occasione di questa epidemia e su cui si deve attentamente riflettere, come per primo ha imparato a sue spese il premier Boris Johnson, prima di ammalarsi assertore del viaggio più rapido verso l’immunità di gregge.

Le strategie di contenimento sul territorio sono state inoltre condizionate da una vera e propria, in parte inevitabile, ignoranza scientifica. Quando la Lombardia è stata colpita massivamente dai contagi di Covid-19 non tutti i governi hanno compreso quello che stava succedendo, sebbene fossero stati avvertiti dagli esperti. Ma persino questi ultimi hanno dato informazioni contrastanti, concorrendo al disorientamento.

Covid-19 è l’esito di una zoonosi, ovvero di un’infezione trasmessa all’uomo dagli animali (5). Non c’è nulla di nuovo sotto il sole in termini epidemiologici, ma la novità del fenomeno su vasta scala in Occidente ha colto decisori e consulenti governativi in contropiede. Dopo che l’OMS ha lanciato l’allarme pandemia, molte nazioni ancora non si erano premunite per fronteggiare adeguatamente l’infezione. L’impreparazione è stata disarmante, diciamocelo.

L’OMS, da parte sua, ha commesso un errore grossolano, suggerendo di concentrare i test sui soggetti sintomatici. La stessa organizzazione ha poi abbandonato queste indicazioni inefficaci, in favore del depistaggio, ossia di test a largo spettro nella popolazione con relativo tracciamento dei contatti. Si tratta delle famose tre T: Testing, Tracing, Treating (6).

Come già scrissi tempo fa, il modello sudcoreano di depistaggio è risultato in questo senso di gran lunga quello vincente. La Corea del Sud è però abituata a fronteggiare i fenomeni epidemici, vista la vicinanza alle aree geografiche a rischio di zoonosi. Il paese è un caso virtuoso in cui le conoscenze scientifiche e tecniche sono travasate con successo ai decisori politici.

Il modello sudcoreano è stato seguito abbastanza presto dalla Germania, poco dopo dal Veneto e da alcune altre regione italiane, non però della Lombardia che ha perseverato nell’errore iniziale dell’OMS; e nemmeno dalla Svizzera che ha recuperato solo tardi con i drive-in.

Si è assistito a una specie di gara internazionale a proposito di chi faceva più test; non ha avuto molto senso, poiché non è il solo numero di tamponi a risultare discriminante, ma anche il modo in cui si procede nella ricostruzione dei contagi (contact-tracing) e in cui si utilizzano i risultati al fine di applicare regole cautelative territoriali alla popolazione.

L’origine dei focolai

Sappiamo dalla genomica che la zoonosi Covid-19 è la conseguenza di un tipico «salto di specie»: il coronavirus che verosimilmente parassitava le volpi volanti (una specie di pipistrelli asiatici) ha subito una delle tante e inevitabili mutazioni casuali, riuscendo così a transitare in un ospite intermedio che, a sua volta, ha infettato i primi umani.

Lo studio delle sequenze genetiche di Sars-Cov-2 non consente di risalire alla precisa origine geografica del virus, tuttavia indica in modo indiscutibile che i primi focolai della zoonosi si sono sviluppati in Cina (7). Per molti esperti è qui d’obbligo il riferimento alle condizioni sanitarie in cui vengono istituiti i wet market per strada o nei capannoni.

Si tratta della vendita incontrollata in luoghi pubblici di animali di vario genere. Particolare menzione va fatta alle specie selvatiche, quali pipistrelli, serpenti, zibetti, anfibi, uccelli rari o altro ancora. Spesso questi animali vengono uccisi proprio nei wet market, di fronte al cliente, o poco prima del trasporto sui banconi. Si può intuire quanto queste aree affollate possano risultare malsane e a rischio di vari contagi, tra cui quelli virali.

D’altra parte, bisogna stare attenti a non restringere il problema ai wet market. In effetti, è soprattutto quanto sta nella relativa catena logistica e nel particolare marketing retrostante a risultare critico per le infezioni epidemiche. Inoltre, l’abolizione di questi grandi centri di vendita alimentare potrebbe condurre a contraccolpi. Vedremo tra poco entrambi gli aspetti.

Oggi la Cina e altre nazioni asiatiche sono collegate a doppio filo alle economie occidentali. La Lombardia intesse rapporti molto stretti con i cinesi e non è un caso che sia stata travolta precocemente dai contagi reiterati del coronavirus, originariamente incubato dalle volpi volanti. La globalizzazione è un formidabile catalizzatore di infezioni. 

Come se non bastasse, il regime comunista ha tenuto nascosto l’insorgere del contagio a Wuhan per parecchi giorni, quando ancora sarebbe stato possibile correre ai ripari, evitando danni alla salute e alla produttività. Esistono oggi stime che quantificano il danno economico provocato dalla Cina all’Occidente: circa 3’700 miliardi di euro (8). Non dubito che al regime di quel paese, in una forma o nell’altra, verrà presentato un conto; ma questa è un’altra storia (9).

Le cause della pandemia

Lo sviluppo dell’industria alimentare in Cina ha spazzato via tanti mercanti o piccoli imprenditori del settore che, di ripiego, si sono rivolti in maniera crescente a cibi esotici (10).

Questo tipo di alimenti un tempo erano giustificati dai cinesi solo per ragioni di sopravvivenza. Oggi, paradossalmente, in qualità di alternativa alla grande offerta standard, stanno diventando in Cina generi di lusso per la classe dei nuovi benestanti. Insomma, roba cara in mercati di massa che riforniscono un numero enorme di consumatori. Ma ci sono anche tradizioni antiche, supportate intensamente dalla medicina tradizionale cinese, che avvalorano le risorse selvatiche.

Per fare un esempio, il pangolino non soltanto è considerato un piatto prelibato in molte zone asiatiche, ma le sue scaglie ricche di creatina costituiscono anche un ingrediente ricercato in alcuni preparati delle industrie farmaceutiche cinesi.

Da notare che questa specie di formichiere è un possibile veicolo intermedio di Sars-Cov-2 ed è il mammifero più commercializzato al mondo, malgrado sia a rischio di estinzione e la caccia ne sia vietata internazionalmente (11).

Bisogna a questo punto sapere che la stragrande parte dei virus che girano sul pianeta sono sconosciuti. Quasi tutti si replicano nel mondo degli animali. Stiamo parlando della bellezza di circa 2 milioni di specie virali differenti, 320’000 nei soli mammiferi. Le poche note sono per lo più d’interesse veterinario e riguardano quindi animali d’allevamento o domestici. Le specie che infettano l’uomo sono soltanto due o tre centinaia.

Restano dunque fuori dal computo tutti gli animali selvatici che fino a qualche decennio fa non venivano cacciati a scopo alimentare o per altre ragioni, ma che ora finiscono nei mercati cittadini. Ed è qui che casca l’asino.

Contestualmente allo sviluppo dell’industria agroalimentare cinese, che ha conquistato territori e creato nuovi insediamenti, i piccoli allevatori e i cacciatori di specie selvatiche sono stati sospinti sempre più verso aree incoltivate e forestali dove prima il contatto tra uomini e animali era molto più raro. Insomma, le terre selvagge, la Wilderness, sono diventate una risorsa commerciale emergente.

Si capisce dove si arrivi col ragionamento: ecosistemi quasi isolati rispetto alle attività umane hanno iniziato a scaricare dal loro naturale serbatoio di virus alcune varianti sconosciute che sono poi risultate in grado d’infettare le cellule umane (12).

Queste operazioni incentrate sul traffico di specie selvatiche si collegano in una catena commerciale ad aree molto densamente abitate, come tipicamente quelle cinesi. Come accennato, la globalizzazione completa l’opera infettiva a livello internazionale e poi planetario.

Infezioni come Ebola o l’Aids (virus HIV) hanno proprio questa origine. Si tratta cioè di zoonosi dovute alla penetrazione crescente di mercanti, cacciatori o bracconieri in territori prima poco o nulla interessati dalla presenza umana.

Problemi futuri

Fino a 10’000 anni fa non esistevano malattie epidemiche; queste ultime sono iniziate con l’addomesticamento degli animali (13). La tesi in oggetto è largamente condivisa nella medicina antropologica.

Da questa considerazione il passo verso la pericolosità degli allevamenti intensivi è breve. I criteri di biosicurezza nella loro gestione sono pertanto fondamentali. Capita che in taluni paesi non siano ben osservati. Succede per esempio nella stessa Cina.

Va detto che i grossi allevamenti di questo paese non sono sempre solo dei cinesi, ma possono essere in comproprietà con gruppi occidentali che, in tal caso, possono essere più o meno corresponsabili della carenza di controlli. Bisogna seguire i soldi per ben porre il problema, ciò che è il primo passo per risolverlo (14).

In quanto ai wet market, occorre stare attenti. Se è vero che alcuni salti di specie vadano ricondotti a quelle attività in strada, è altrettanto vero che, dopo la terribile Sars del 2003 (che aveva una letalità del 10%), i mercati pubblici cinesi subiscono alcune ispezioni delle autorità sanitarie nazionali e locali (15). La loro soppressione potrebbe portare a commerci del tutto in nero e ancora meno controllati in senso sanitario.

Va anche ricordato che almeno il 40% delle forniture alimentari ai consumatori cinesi provengono proprio da questi centri sparsi sul territorio e che fanno parte del costume locale da lungo tempo. Abolire senza criterio queste abitudini porterebbe a disastri sociali e alimentari (16).

Gli allevamenti intensivi, l’uso di pesticidi, antibiotici o erbicidi, l’eccesso di carne nella dieta, l’inquinamento sono certamente fattori che giocano un ruolo nel peggioramento della sicurezza sanitaria sul globo. Tuttavia, focalizzarsi sulla solita tiritera dell’uomo che altera gli equilibri naturali non serve a molto se non si specifica dove stiano di preciso le magagne. Tra l’altro, la natura non è mai stata in equilibrio, né mai lo sarà (altrimenti non si spiegherebbe l’evoluzione biologica).

Conviene allora procedere per gradi d’importanza. Se prendiamo in esame epidemie come Covid-19, Ebola o HIV il problema maggiore che si sta profilando l’abbiamo descritto e va posto in rilievo: il salto di specie virale è provocato da contatti sempre meno discreti con un mondo selvaggio che sta dietro l’angolo e che non conosciamo bene.

Le zoonosi derivano dalla penetrazione, dallo sfruttamento e persino dalla compromissione o distruzione di habitat naturali prima quasi vergini e potenzialmente carichi di virus ignoti. Tali virus possono trasformarsi o ricombinarsi in modi molteplici, finendo per parassitare anche le nostre cellule con esiti imprevedibili e anche letali.

Sono passati dodici anni da quando un lavoro illuminato su Nature ha messo in evidenza i rischi di zoonosi mondiali, peraltro correlati anche a infezioni batteriche resistenti agli antibiotici. Quel lavoro puntava il dito contro l’insufficiente sorveglianza scientifica nelle zone a rischio, ben tracciate nella ricerca, e contro la pochezza delle risorse destinate a contenere preventivamente le infezioni (17).

Covid-19 e le sue modalità di sviluppo dimostrano che da allora poco è cambiato, mentre i commerci sono aumentati, le popolazioni cresciute e la deforestazione avanzata. Guardiamo in faccia l’amara verità: se i difetti non verranno corretti al più presto i pericoli infettivi non cesseranno affatto con l’auspicata estinzione di questa pandemia. Un nuovo contagio non dovrebbe pertanto meravigliare.

La riduzione di habitat naturali e la concentrazione degli animali selvatici in aree più ristrette e penetrate dalla civiltà umana favoriscono la diffusione di vettori virali e salti di specie; animali e uomini si trovano in condizioni contigue inusitate. Questo costo implicito nello sviluppo economico potrebbe diventare presto molto oneroso e doloroso.

Conoscere i prossimi virus

Virus che saltino dagli animali agli umani risultano oggi più deleteri, poiché nella rete potenziata di viaggi, di spostamenti e di trasporti si diffondono con una rapidità impressionante se non vengono scoperti e arginati subito. Il tempo e la conoscenza sono risorse critiche.

Cercare di evitare zoonosi ed epidemie, semplicemente riavvolgendo la bobina dei secoli e tornando magari a 10’000 anni fa, prima delle malattie epidemiche, è pura utopia. Tutto è cambiato nel frattempo. Meglio guardare avanti, facendo tesoro degli errori presenti. Risulta del resto ben poco realistico immaginare di passare collettivamente e integralmente a una dieta vegetariana, anzi vegana, onde evitare i virus del mondo animale.

Oggi abbiamo potenti alleati tecnologici: il tracking genomico, la ricerca microbiologica, la telematica che, opportunamente impiegata, può con le app per cellulari farci guadagnare tempo in attesa di rimedi farmacologici, talora persino senza ricorrere a lockdown integrali; e altro ancora. Ma la scienza deve avere più voce in capitolo.

Esiste oggi un progetto teso a individuare nel mondo selvatico le innumerevoli potenzialità virali nefaste che ivi si celano. Sono infatti fino a 800’000 i temibili virus che potrebbero infettarci nei prossimi dieci anni, a seguito di un salto di specie. Un numero stimato spaventoso. Il progetto in questione è il Global Virome Project dal costo di sette miliardi di dollari (18).

Per fortuna, amministratori del territorio e politici, di solito poco o nulla esperti in materia, stanno lentamente iniziando a capire che occorre istituire apposite commissioni scientifiche per affrontare queste sfide. Si tratta però di una lotta per arginare un’evoluzione nel mondo microscopico nella quale manca ancora uno strumento preventivo basilare: un coordinamento a livello internazionale.

Oltre alla scienza, occorre una nuova coscienza e, certamente, anche un cambio di paradigma. La parola risorsa naturale non ha più molto senso per i cittadini occidentali di oggi.

Forse è questo significato - arcaico, etico e pratico - che varrebbe la pena di ripescare dalla vita dei nostri antenati di 10’000 anni fa. Ce ne accorgiamo oggi dopo sofferenze, morti e perdite di prodotto interno lordo. Per quanto ce ne ricorderemo?

A titolo di ricapitolazione consiglio la visione del video (19) in francese, ma con sottotitoli in italiano ad opera di Internazionale, pubblicato in origine dalla nota testata di Parigi Le Monde.

 

Riferimenti Internet (due miei)

(1)     https://www.ucl.ac.uk/news/2020/mar/historical-coronaviruses-show-evidence-seasonality-immunity

(2)     https://www.swissinfo.ch/ita/un-infettivologo-avverte-_-le-considerazioni-finanziarie-non-dovrebbero-avere-la-priorit%C3%A0--nella-crisi-del-coronavirus/45676528

(3)     https://www.swissinfo.ch/ita/impatto-della-covid-19_il-coronavirus-rivela-il-fossato-tra-le-regioni-linguistiche-svizzere/45654306

(4)     Se può interessare, il 23 aprile scorso il quotidiano La Provincia di Como ha pubblicato in prima pagina un mio editoriale proprio su questa tematica: il giornale copre Como, Sondrio, Lecco, un tempo anche Varese, e viene recapitato spesso nei locali della Valposchiavo. Nel caso, posso riportare qui il testo (non è richiesta una liberatoria).

(5)     https://it.wikipedia.org/wiki/Zoonosi

(6)     https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/lesperto-risponde/coronavirus-testare-isolare-tracciare-loms-indica-la-via

(7)     https://www.nature.com/articles/s41591-020-0820-9

(8)     https://henryjacksonsociety.org/wp-content/uploads/2020/04/Coronavirus-Compensation.pdf?fbclid=IwAR3bX--FD6V43qwJ652aMYPTpsSmboIPUZlwkOtt4mNUSoKvRlahrEGDess.

(9)    https://it.businessinsider.com/industria-in-fuga-dalla-cina-leconomia-non-si-riprendera-per-anni-per-errori-del-governo-lanalisi-di-gordon-chang/?ref=fbpu&fbclid=IwAR3N6DW_nJ9aoUkA0Z4PQolUPuDUH59F_meqVhyS0ONU69YzXWNsY8w82SY.

(10)  https://www.nationalgeographic.it/scienza/2020/02/coronavirus-sempre-piu-cinesi-vogliono-chiudere-i-mercati-di-animali-selvatici.

(11)  https://www.repubblica.it/ambiente/2020/04/21/news/coronavirus_la_paura_del_contagio_potrebbe_salvare_il_timido_pangolino-254589822/

(12)  Per chi ha tempo e volesse sapere come si replicano i virus, qui una mia dispensa, redatta nei ritagli di tempo in termini di risposta sulla piattaforma Quorahttps://it.quora.com/I-virus-sono-tutti-cattivi/answer/Roberto-Weitnauer.

(13)  https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=84204

(14)  https://nyupress.org/9781583675892/big-farms-make-big-flu/

(15)  https://research-repository.st-andrews.ac.uk/handle/10023/2150

(16)  https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0969698915301892

(17)  https://www.nature.com/articles/nature06536

(18)  http://www.globalviromeproject.org/

(19)  https://www.internazionale.it/video/2020/05/01/umani-responsabili-pandemie

Redazione 150
Roberto Weitnauer
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