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Risvolti psicologici della situazione attuale

09-04-2020

La salute fisica di tante persone – ma anche la nostra – è all’ordine del giorno negli ultimi tempi. Ma che ne è della salute mentale di tutti noi e delle persone più fragili? Martine Favrat, psicologa-psicoterapeuta FSP di Ginevra, Nicolao Fuchs, psicologo-psicoterapeuta FSP di San Vittore e il Dr. Justus Pankok, responsabile dell’ambulatorio psichiatrico della Valposchiavo si sono gentilmente messi a disposizione per dare il loro punto di vista e parlare della loro esperienza nel contesto attuale.

“L’attuale ansia, conseguenza della pandemia da coronavirus, rappresenta per la vita psichica ciò che il Covid19 rappresenta per la vita fisica. Benché al momento la priorità sia data a salvare vite umane, le cure per la salute psichica sono altrettanto importanti delle cure per la salute fisica”, con queste parole inizia il colloquio con Martine Favrat. Come sottolinea anche il Dr. Pankok, il nostro sistema immunitario funziona meglio quando siamo più rilassati: le persone che sono sempre sotto tensione, che soffrono di pensieri martellanti, sono molto più esposte al rischio di contrarre una malattia. Nicolao Fuchs rileva quanto sia importante che il terapeuta stesso trasmetta al paziente un messaggio positivo, di speranza, dia istruzioni chiare e consigli strutturanti, per evitare che le persone entrino in uno stato di paranoia e perché non tutti siamo in grado di filtrare le informazioni. Le esperienze e i punti di vista dei tre professionisti della salute mentale, benché espressi con parole diverse e in parte complementari, sono molto simili.

Se con gran parte dei loro pazienti ora lavorano a distanza, per telefono o tramite Skype, vi sono persone che presentano strutture depressive importanti e hanno bisogno di essere viste, di spostarsi per l’appuntamento e che, per l’efficacia della terapia, i terapeuti continuano a vedere, nel rispetto delle norme igieniche e della distanza attualmente in vigore. La situazione che viviamo ora ha fatto saltare la cornice e il contesto che esistono abitualmente e viviamo una massiccia perdita dei nostri “appigli”: quando andiamo a lavorare, ad esempio, non ci chiediamo dove andiamo a lavorare, la nostra giornata è strutturata in un certo modo. Tutte queste strutture, questa “colonna vertebrale” ora per molti è venuta a mancare. Non possiamo più fare affidamento a una struttura di un collettivo, dobbiamo fare affidamento a una nostra struttura interna. Ecco perché è importante, anche lavorando da casa, che si rispettino orari, si mantenga una struttura giornaliera chiara. 

L’ansia è planetaria, collettiva e difficilmente controllabile, contagiosa come il coronavirus e si propaga a una velocità anche superiore, a causa della capacità anticipatoria dell’essere umano, che tende a proiettarsi in scenari deprimenti, inquietanti. Da un lato a causa dell’attuale realtà, oggettivamente drammatica, dolorosa, che rende difficile proiettarsi in un futuro con fiducia, gioia e sicurezza. Dall’altro, per le persone con tendenze depressive, ansiose, gli specialisti sanno che la loro “scena” è occupata da un’anticipazione negativa. O siamo noi stessi di natura ansiosa o depressiva, o abbiamo qualcuno della nostra cerchia familiare, di amici o professionale che ha questa tendenza. È pertanto imperativo ricordarsi di prestare attenzione all’impatto del coronavirus sulla nostra salute mentale.

Le preoccupazioni e l’ansia in questo periodo sono quasi uno stato normale, le emozioni possono essere forti, tutti in tutto il mondo ne soffrono e vivono un’esperienza simile. La paura in sé come istinto umano non è negativa, rappresenta l’istinto di sopravvivenza che ci costringe a essere cauti: cautela più che giustificabile in questo periodo. Occorre stare tuttavia molto attenti che quest’ansia non si trasformi in uno stato di panico, dannoso perché ci fa perdere la lucidità. È importante pertanto distinguere tra preoccupazioni reali, che la vita ci può presentare in qualsiasi momento, e l’ansia derivata dalla “cautela” propria a questo periodo. Gli stati psichici sono molto contagiosi (il riso di qualcuno ci fa ridere, la sofferenza degli altri ci fa soffrire, il pianto di altri ci può far piangere) e le emozioni forti, le paure vengono ad amplificare qualsiasi tipo di situazione che non è direttamente legata al coronavirus. Restare “nel proprio territorio”, non lasciarsi invadere dall’ansia circostante, rimanere lucidi, risulta estremamente difficile.

La crisi che ci colpisce non è soltanto planetaria, collettiva. È anche simultanea, la malattia è la stessa per tutti. Rappresenta una sfida non da poco, perché la problematica planetaria tocca tutti, siamo per così dire tutti nella stessa barca. Questo fatto ci obbliga a uscire dalle aspettative “infantili” secondo cui saranno gli altri ad aiutarci. Dobbiamo, e possiamo, fare uno sforzo per imparare a risollevarci, cambiare le nostre abitudini, non quelle economiche o fisiche, quelle legate al nostro comportamento interiore. Anche se siamo confinati, possiamo sorvegliare le nostre attitudini ed educarci. Certo, questo non è facile, richiede sforzo e tempo. Ma chi può impedirci di avere l’intenzione di diventare più responsabili nei confronti dei nostri comportamenti, delle nostre tendenze ripetitive ad aggrapparci alla negatività, alle nostre lamentele che ci confortano nella credenza che ci manca sempre qualcosa, che non siamo abbastanza bravi e che nemmeno gli altri lo sono? Nessuno. Una volta che abbiamo preso la decisione di coltivare la nostra tranquillità interiore, contribuiamo a creare un clima di pace nel nostro spazio personale e di chi ci sta vicino. Questa atmosfera di pace non è un lusso, oggi è una necessità.

Chiedere aiuto è importante – sempre, ma in questo momento più che mai. È importante parlare con qualcuno delle proprie difficoltà, non aspettare per prendere in mano il telefono e chiamare i servizi psichiatrici se la situazione diventa insopportabile, o altri numeri che prestano aiuto e ascolto alle persone anziane, ai ragazzi e ai giovani, ai genitori, agli adulti. Del resto, il ruolo degli psicologi è molto importante ed è complementare al lavoro che attualmente svolgono i loro colleghi negli ospedali. Ci sono però anche strumenti molto semplici, che possiamo farci propri senza dovere uscire ad acquistarli, e che possono contribuire a ritrovare lucidità e un sentimento di calma, tanto più ora che siamo martellati da una marea di informazioni, per lo più negative. Ad esempio praticare ogni tanto durante la giornata un momento di “silenzio”: non si tratta di chiedere a tutti di meditare, è proprio la questione di ritagliarsi dei momenti di silenzio (anche solo un minuto!), un silenzio non gratuito, bensì scelto deliberatamente, con un obiettivo, una visione, come quella di apportare salute e tranquillità, pace. Un silenzio che nasce non dalla distanza sociale imposta dal confinamento, ma in noi stessi ed è motivato dall’obiettivo che ci siamo prefissati, ad esempio la salute di tutti, la mia compresa. Il silenzio è prezioso, perché nel silenzio possono emergere tante idee innovatrici e soluzioni e non da ultimo, il silenzio calma l’inquietudine. Quando si tace, si evita di trasportare le nostre ansie, di “inquinare” il pianeta con il nostro mentale e la nostra negatività.

Per metterci in questo stato di “prevenzione mentale”, contrariamente alla prevenzione fisica, non abbiamo bisogno di materiale come mascherine o respiratori. Abbiamo tutto, possiamo trovare anche il tempo: basta un impegno nei confronti di sé stessi e la determinazione a manifestare concretamente che vogliamo la tranquillità, la pace. Possiamo tutti avere questa determinazione, non occorre uno statuto particolare. Come scrisse nel suo diario Etty Hillesum, mirabile ebrea olandese morta ad Auschwitz: “Alla fine, noi abbiamo solo un dovere morale: reclamare larghe aree di pace in noi stessi, più e più pace, e rifletterle verso gli altri. E più pace c’è in noi, più pace ci sarà nel nostro mondo agitato”. 

Grigione Paola Gianoli
Paola Gianoli
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